Michele Settebordi è il personaggio protagonista di più racconti gialli che ho scritto nel corso degli anni, alcuni raccolti nel volume Il provinciale (Placebook, 2023) altri sparsi in antologie varie. Analista del linguaggio non verbale, risolve i casi osservando il comportamento delle persone. Quello che segue è un inedito, che lo vede alle prese, come dice il titolo, con un "caso freddo".
COLD CASE
«Ma dove pensate di essere, in America? Non so se vi siete guardati attorno ma questa è Montecatini Terme, ventimila abitanti.»
«Risparmiati l’ironia, Settebordi. Anche perché non hai nulla da perderci, anzi mi sembra una buona occasione per te, visti gli ultimi tempi di magra.»
«Non era per quello, Reggiani. Il fatto è che una iniziativa del genere mi lascia davvero stupito e mi chiedevo quali fossero le motivazioni.»
L’ispettore Reggiani era uno dei pochi che non considerasse Michele Settebordi un ciarlatano, e forse proprio per quello era stato deputato ad affidargli l’incarico.
«La risposta te l’ho già data: tempi di magra per il delitto. Bene o male sei del settore e saprai anche tu che gli omicidi sono in calo costante. DNA, telecamere dappertutto, ormai è difficile farla franca per chi ammazza. Anche le mafie da anni hanno adottato la strategia del sommergibile, operano soprattutto con la finanza e ricorrono all’omicidio solo in casi estremi. Quindi, strano a dirsi, ci troviamo momentaneamente sovradimensionati.»
«Ma i delitti comuni?»
«Adesso sei tu che credi di trovarti in un altro paese. Non lo sai di essere in Italia? Non li leggi i giornali? Non ti accorgi che i nostri politici ogni giorno cancellano un reato? Che per i pochi sfigati che ancora rimangono in prigione ogni settimana arriva un indulto, uno svuotacarceri, un perdono, un’assoluzione dai peccati? Pur di parare il culo a se stessi e ai loro sodali i governanti adottano la teoria del liberi tutti.»
Settebordi avrebbe voluto rispondere che lo sapeva benissimo, che era proprio per quello che da anni aveva scelto di rimanere ai margini, di non tentare di fare carriera. Nessuno meglio di lui si rendeva conto di essere in Italia, dove il talento e l’intelligenza erano guardati con sospetto e solo gli utili idioti, o chi si fingeva tale, potevano aspirare a posizioni importanti. Ma fare il paladino in battaglie ideologiche non lo interessava, perciò portò di nuovo la discussione sul piano concreto.
«Ho capito, ho capito: poiché c’è una quota di personale poco o per niente occupata, qualcuno che guarda troppe serie TV ha avuto la brillante idea di istituire una sezione dedicata ai cold case. Però torniamo alla domanda di partenza: perché allora ricorrere a un esterno come me?»
Da molto tempo Settebordi collaborava con varie questure della Toscana come esperto esterno di cinesica, cioè di linguaggio non verbale. La sua disciplina, come già accennato, era guardata con sospetto dalla maggior parte degli investigatori, che tendevano a considerarlo poco più o poco meno di una specie di sensitivo. In realtà Settebordi applicava metodologie e tecniche scientifiche ben documentate e testate, per scoprire la verità non tanto da ciò che i testimoni e i sospetti dicevano, quanto da come si comportavano.
«In primo luogo lo sai che sei un beniamino del questore e poi pare che in questo caso le tue abilità possano tornare utili.»
Così dicendo Reggiani gli porse un faldone, nel contempo alzandosi per indicare che il colloquio era terminato.
«È tutto su carta; roba del secolo scorso quindi niente di informatizzato.»
«Ma non mi dici nulla, qualche spiegazione, qualche aiuto…»
«Settebordi, sarà anche vero che siamo sovradimensionati ma questo non vuol dire che non abbia niente da fare. Il tesserino ce lo hai?»
«Sì.»
La questura gli forniva un tesserino di riconoscimento, che di per sé non lo qualificava né lo abilitava a niente, però a un esame frettoloso poteva farlo passare per un poliziotto.
«Allora vai con Dio.»
Fosse stato un altro funzionario lo avrebbe congedato mandandolo affanculo, perciò Settebordi se ne andò quasi soddisfatto.
* * *
Bastarono poche pagine del fascicolo per far comprendere a Settebordi che gli serviva l’aiuto di Perboni, il suo professore di inglese del liceo. Prima di proseguire nella lettura estrasse il telefono e gli inviò un messaggio, per invitarlo a un aperitivo quella sera stessa. Sapeva che avrebbe accettato e che si sarebbe rivelato una miniera di informazioni. Gianmarco Perboni, con sessantacinque anni di vita e trentacinque di insegnamento a Montecatini Terme era una memoria storica vivente della città.
* * *
«L’omicidio Morelli? Certo che me lo ricordo! Lui era un industrialotto che si era bevuto cervello e soldi dietro alle ballere e…»
«Spiegati meglio.»
«Sarà bene che ti illustri la Montecatini degli anni ottanta, perché sono trascorsi solo quattro decenni ma tutto è cambiato. Mi occorrerà un altro prosecco.»
Che a offrire fosse Settebordi, Perboni lo dava per scontato e non esitava ad approfittarne.
«Tu vedi la città di adesso, con gli stabilimenti termali che cadono a pezzi, i negozi chiusi, gli alberghi pure e dove il poco turismo che si è salvato è quello dei pacchetti tutto incluso. Negli anni ottanta giravano i soldi. E come tutte le città termali Montecatini si distingueva per due aspetti, basati sul denaro: gioco d’azzardo e puttane. A quell’epoca, ti ricordo, le uniche scommesse legali erano quelle sui cavalli e Montecatini ha l’ippodromo, quindi affluivano giocatori da tutta la Toscana. E chi vinceva poi andava a festeggiare in uno dei tanti night-club che punteggiavano la periferia. Qui lavoravano le ballerine, dette comunemente ballere, delle etnie più varie, dalle tailandesi alle polacche, dalle argentine alle brasiliane. Tutte con un unico scopo ben fisso in mente: acchiappare un pollo. E i polli non mancavano, sempre per il fatto che correva un mare di soldi. Qualcuna delle ballere più avveduta riusciva a diventare una mantenuta fissa, con tanto di appartamento e conto aperto nelle migliori boutique del centro. Cosa vuoi, i nuovi ricchi abbondavano: avevano fatto i soldi ma erano ancora dei provincialotti e pensavano che fosse di classe mantenere un’amante straniera. Non erano pochi quelli facevano il passo più lungo della gamba e, obbedendo alle richieste sempre più esose della ballera di turno, mandavano a puttane (è proprio il caso di dirlo) l’azienda di famiglia. Morelli era stato uno di quelli. Fino ai quaranta anni solo lavoro e famiglia poi aveva scoperto il mondo della trasgressione, dilapidandovi in poco tempo una fortuna. Se ricordo bene…»
Perboni si interruppe.
«Un altro prosecco per facilitare la memoria?»
«Come studente non eri particolarmente brillante ma vedo che con l’intuito sei molto migliorato.
«Stavo dicendo che Morelli quando fu trovato morto era proprio partito per la tangente: lasciata la moglie e i figli, viveva con una brasiliana e litigava con il socio per vendere l’azienda e intascarsi altri soldi, visto che aveva dato fondo a tutta la liquidità disponibile. All’inizio il suo sembrò un suicidio, poiché era volato giù dal quarto piano del suo appartamento, ma l’autopsia rivelò che era imbottito di sonnifero; prima lo avevano addormentato e poi fischiato di sotto.»
«Se sapevo che eri così informato mi risparmiavo la lettura del fascicolo.»
«I giornali all’epoca ci camparono per settimane. Ovviamente la prima a essere sospettata fu la moglie, ma aveva un alibi di ferro, poiché da giorni si trovava a casa della sorella nel nord Italia. L’alibi della giovane mantenuta era più debole, ma per lei mancava il movente: che motivo aveva di uccidere la gallina dalle uova d’oro? Entrambe, poi, avrebbero avuto grosse difficoltà a trascinarlo e gettarlo oltre il balcone: Morelli era un omone che pesava il doppio di loro. Alla fine passò l’ipotesi del furto, visto che l’appartamento era stato ripulito, però non convinse del tutto: dopo che il ladro o i ladri avevano addormentato il Morelli, che motivo c’era di ucciderlo? Un conto è andare in galera per furto, un altro per omicidio.»
«Omicidio su commissione?»
«Anche qui l’unica mandante plausibile era la moglie, che però non era certo il tipo da avere agganci con persone della malavita e infatti anche su quel versante non saltò fuori niente.»
«Usurai e cravattari vari?»
«Il Morelli non era ancora a quel punto. Aveva fatto fuori una parte consistente del suo patrimonio ma era ancora solido. Con il tempo sarebbe riuscito senz’altro a rovinarsi del tutto, ma la morte glielo impedì.»
* * *
Reggiani aveva accennato a un fattore che poteva favorirlo nell’indagine. L’unica sopravvissuta delle due sospettate era la convivente, la moglie era morta di tumore più di dieci anni prima. Gli stranieri tendono a essere più decrittabili nel linguaggio non verbale, poiché la minore padronanza della lingua li spinge a un maggior uso dei gesti. D’altra parte, dopo oltre quaranta anni di soggiorno in Italia, questo margine si era ridotto probabilmente quasi a zero.
Settebordi suonò il campanello. Non aveva preso contatti per telefono perché preferiva un approccio non preparato da parte della persona da osservare. La prima reazione era spesso illuminante.
Secondo i dati fornitigli dalla questura Isabella Larissa Ferroa Dias abitava ancora nell’appartamento dove era avvenuto il delitto, di sua proprietà in quanto donatole a suo tempo dal Morelli.
Il condominio si trovava in via Baragiola, una tranquilla strada residenziale di buon livello. Sul campanello solo il nome Isabella.
«Chi è?»
«Questura.»
Trascorsero alcuni secondi di silenzio, poi ci fu lo scatto di apertura del portone. Non gli era stato detto a quale piano recarsi ma Morelli era volato giù dal quarto, quindi…
Percorse le scale invece di prendere l’ascensore. L’attesa generava ansia, che a sua volta diminuiva il controllo di sé. La trovò ad attenderlo sulla porta, una bella signora elegante, sulla sessantina ma ben portati. Quando lui le mostrò il più velocemente possibile il tesserino semi-farlocco lei portò la mano destra al collo, nel tipico gesto femminile di difesa.
Non era una ammissione di colpa, nessun gesto lo è. Qualcuno ingenuamente credeva che l’esperto di cinesica fosse in grado di scoprire le menzogne in automatico, ma purtroppo non era così: non esiste una gestualità della colpevolezza, solo mettendo insieme una serie di comportamenti si può intuire se una persona dica o meno la verità. E quel gesto rivelava solo una forte dose di stress.
Il tesserino svolse la sua funzione e la Dias dopo le presentazioni lo fece accomodare in salotto. La casa appariva in ordine e ben arredata. Un tranquillo appartamento borghese.
«Per cosa…?»
«Delitto Morelli.»
«Pensavo che ormai la prescrizione…»
L’accento brasiliano, se c’era, era impercettibile.
«Gli omicidi non cadono mai in prescrizione, signora Dias.»
Isabella raddrizzò la schiena per darsi un tono ma i suoi piedi puntavano verso la porta: desiderio di non trovarsi lì in quel momento.
«Cosa vuole chiedermi?»
«Perché sul campanello c’è solo il nome senza il cognome?»
«Perché sono una puttana, signor Settebordi, e le puttane sul campanello scrivono solo il nome. Ai clienti basta e avanza.»
Stavolta aveva rivolto i piedi verso di lui e posto le mani sulle ginocchia, in atto di sfida.
«Da dove proviene tutta questa amarezza?»
«Sono quaranta anni ormai che abito in questa casa ma gli altri condomini non mi hanno mai accettato. Per loro sono sempre rimasta la mantenuta che ero all’inizio, la ballera che aveva accalappiato il pesce grosso. E io ho lasciato solo il nome sul campanello, per far vedere che me ne fregavo. Buongiorno e buonasera e mai una parola di più.»
«Perché non si è trasferita?»
«E con quali soldi? Avrei dovuto vendere questo appartamento per comprarne un altro, rimettendoci. E magari fare davvero la puttana per mantenermi.»
Così dicendo si era accesa una sigaretta, prelevandola da un elegante cofanetto posto sul tavolino da fumo che li separava, Era chiaramente sulla difensiva. Le spalle leggermente incassate, la mano sinistra che correva ad aggiustare i capelli.
«E quindi, dando per scontato che non ha fatto la puttana, in questi anni di cosa è campata?»
La domanda era aggressiva ma a Settebordi la risposta non interessava, quasi non la ascoltò. La Dias spense la sigaretta, fece per prenderne un'altra, ma si limitò ad afferrare con entrambe le mani il cofanetto trasparente dove ne stavano allineate a decine e lo spostò. Poi, sempre parlando, girò in un’altra direzione il vaso di fiori freschi che era lì accanto e infine si dedicò a un ninnolo etnico, che sembrava raffigurare qualcosa di fallico, cambiandogli posizione da un lato all’altro del tavolino da fumo.
«…è soddisfatto della mia spiegazione?»
«Non ci ho fatto caso. Pensavo ad altro.»
«È venuto qui per prendermi in giro?»
«Tutt’altro. Pensavo di scambiare due chiacchiere con lei, per poi chiudere definitivamente il fascicolo, visto che la principale sospettata da tempo non è più fra noi. Non mi aspettavo di scoprire che invece lei con la morte di Morelli c’entra, eccome.»
Ecco, c’era sempre un momento come quello. Il momento decisivo. Perché le indicazioni non verbali ti indirizzano ma non sono una prova. Poteva forse dire alla polizia di arrestare la Dias perché aveva costruito una barriera difensiva, disponendo gli oggetti sul tavolo in modo che si frapponessero fra lei e Settebordi? Oppure che fra un movimento e l’altro delle mani i segnali pacificatori che segnalavano lo stress, come per esempio accarezzarsi un palmo, si susseguivano senza sosta? Già gli ridevano dietro, figuriamoci se avesse chiuso lì la conversazione e si fosse presentato in questura con quegli elementi.
No, doveva per forza provocare una reazione e sperare in un punto di rottura.
Isabella Dias rimase a lungo in silenzio, senza accennare ad alcuna protesta nei confronti dell’accusa che le era stata fatta. Settebordi giocò a carte scoperte, l’unico modo in cui poteva procedere.
«Lei prova ancora un forte senso di colpa, altrimenti non sarebbe rimasta qui per quaranta anni, infliggendosi la punizione di abitare in un luogo che le ricorda un episodio così orribile e in mezzo a persone che la disprezzano.»
Prima di rispondere la Dias si accese un’altra sigaretta, aspirando il fumo quasi con violenza.
«Ha ragione. Non so perché ma è così. E davvero non ne capisco il motivo. Morelli era un coglione fatto e finito e avrebbe finito di rovinare sé e la famiglia se sua moglie non fosse venuta da me a propormi di toglierlo di mezzo. In cambio di un adeguato compenso, si capisce, che mi permettesse di vivere di rendita. La questione dei soldi l’abbiamo regolata in Svizzera, come si usava allora, perché la polizia non scoprisse niente. Non mi è costato niente neppure farlo fuori, avevo conoscenze nella malavita come tutte le puttane che si rispettino e la persona che ho assoldato si è accontatata del bottino fatto svuotando l’appartamento. Per qualche tempo mi ha voluta come amante ma anche questo per una puttana è normale. Ah, a proposito, inutile cercarlo: pure lui da molti anni se n’è andato all’altro mondo, un regolamento di conti o roba del genere.»
Tacque. Settebordi non disse niente e lei dopo un po’ riprese: «Volevo cambiare vita, si capisce, e per un po’ ci ho anche creduto. Ma poi ho smesso anche di rimandare. Forse aspettavo che qualcuno venisse a liberarmi dei ricordi.»
«Grazie», aggiunse infine.
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