C’è un film che spiega in maniera esemplare l’Italia e soprattutto gli italiani. Un film che pochi conoscono e che, se lo andate a cercare nei dizionari del cinema, troverete liquidato con una o due stellette e classificato come commediola di serie B. Il titolo è Il domestico (anno di uscita 1974) con regia di Luigi Filippo D’amico e protagonista principale Lando Buzzanca. Eppure niente fotografa meglio l’Italia nel periodo dagli anni cinquanta agli anni di piombo della cosiddetta commedia all’italiana. Asseriva Ettore Scola, credo con ragione, che in quella definizione (all’italiana e non semplicemente italiana) albergava un sostrato dispregiativo, riduttivo, come se in definitiva si risolvesse tutto in un gioco leggero di risate e ammiccamenti. Niente di più falso: la risata serviva a rendere commestibile (anche alla censura allora imperante) il ritratto caustico, dissacrante, impietoso fino all’eccesso dell’Italia dal boom in poi. Si tratta di un costituente talmente importante da riuscire a trasmigrare perfino, dall’inizio degli anni settanta, nella degenerazione becera della commedia all’italiana: l’ancor più denigrata e vilipesa commedia sexy all’italiana, quella di Edvige Fenech e Alvaro Vitali, tanto per capirsi. Eppure sia nel filone principale dei grandi registi (Risi, Monicelli e geni vari) che in quello misero in cui domina la scena della doccia, si presenta un campionario dei tipi italiani che è un’autentica enciclopedia del costume; non a caso colui che ne è l’interprete massimo, Alberto Sordi, ricopre spesso ruoli eponimi di una professione (Il vigile, Il medico della mutua, Il maestro di Vigevano…) quasi a ipostatizzare la medietà italiana. Ebbene, nessuno dei tipi italiani che operano nella commedia è moralmente integro; è questa la caratteristica dirompente da mascherare con la risata o con la maggiorata di turno: l’assenza di un versante positivo, di un punto di riferimento di valore etico. Dino Risi, con la consueta genialità, giocò addirittura un intero film a episodi su questo fatto: I mostri. E dico giocò non a caso, poiché il singolo “mostro” stigmatizzato da ogni episodio non è affatto isolato nel suo ambiente, bensì nuota in un acquario di simili, dove l’onesto o il corretto, se c’è, fa nel migliore dei casi la figura dello sprovveduto, inadatto a sopravvivere in un mondo dove la mostruosità è la normalità.
Assodata la valenza artistica della commedia all’italiana nel tratteggiare un atlante completo del (mal)costume italiano, vediamo perché l’epitome (a mio modesto e sindacabilissimo avviso) è rappresentata dal film Il domestico. La metafora su chi sia in realtà questo domestico è lampante: l’italiano medio, molto medio, il cui scopo e ambizione precipui sono il servizio a favore dei potenti. Il loro operato da lui non è mai messo in discussione: gli è sufficiente raccogliere le briciole. In questa estasi del servilismo giunge al punto di immolarsi a favore del padrone, andando in galera al posto suo, pur di non favorire gli odiati comunisti.
Difficile trovare una spiegazione psicologica più calzante del perché la maggioranza italiana tende a votare contro i propri interessi e a favore di chi la sfrutta. Un popolo di domestici.
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